La mia storia, la mia evoluzione
27 Novembre 2023
Ti racconto la mia storia, la mia evoluzione.
Mi chiamo Simona Barboni; stilista, creativa e artigiana: creo abbigliamento su misura, do nuova vita ai capi e eseguo riparazioni sartoriali e creative.
Così mi presento, dico chi sono nella mia casa digitale e così racconto il mio lavoro. Ma la mia professione non ha sempre avuto queste caratteristiche; le parole che utilizzo oggi non sono le stesse di qualche anno fa, la mia identità professionale non è la stessa.
Inauguro il mio blog con questo primo articolo che parla dell’inizio della mia storia, di un’evoluzione non prevedibile ma necessaria, non cercata e poi fortemente voluta.
Le radici, le origini
Parto dall’inizio, perché per me le radici sono la base reale e consistente su cui costruire ogni futuro. Buone o cattive che siano, le radici stanno sotto tutta la nostra storia, sono l’inizio di ogni crescita, il luogo del nutrimento.
Sono figlia di una sarta che non ce l’ha fatta (per dirla ironicamente) e, come se mi trovassi in una staffetta, io corro, con piacere, forse anche un po’ per lei.
Nessuno mi ha mai spinta nella sua stessa direzione, così come nessuno mi ha mai impedito di seguirla. Non so dire esattamente quando e perché ho scelto la mia strada, ma se tutto inizia da qualcosa, posso serenamente affermare che la mia storia è iniziata qui, dalla mia famiglia.
La mia storia ha un’origine, una radice, familiare.
Una storia fatta di donne
Durante l’infanzia si occupava di me la mia nonna materna. Nata negli anni ‘30 ed espertissima di riparazioni sartoriali, aveva sviluppato questa abilità per partecipare all’economia domestica.
Ai suoi tempi, tutto si riparava per necessità ed era consuetudine che tutte le donne di famiglia se ne occupassero. Così, io ho sempre visto mia nonna riaggiustare, cucire, sistemare.
Una cascina di provincia, ampia e luminosa, con un bellissimo cortile in cui giocare. Tante piante e tanta lentezza. In questo luogo senza tempo io trascorrevo le mie giornate.
E lì viveva anche una zia, un’altra donna determinante nella mia vita. Lavorava in un laboratorio di confezioni e mi portava sempre dei sacchi neri e morbidi colmi di scarti tessili di lavorazione che, in quegli anni da bambina, sono stati la mia compagnia.
Non mi ricordo esattamente cosa facessi con questi scarti, forse ci vestivo solo le bambole, ma sono rimasti impressi nella mia memoria le fantasie e i colori delle stoffe.
Solo da adulta scoprii che quei tessuti appartenevano ad una casa di moda internazionale che in quanto a colori, fantasie e abbinamenti mi incanta oggi come a cinque anni.
Prima sarta “fai da te”, ma solo per poco
Se hai mai conosciuto una sarta, saprai forse che smetterà di lavorare solo per un motivo, anzi due.
Il primo, è la vista che diminuisce, il secondo è l’artrite alle mani. Come i medici e i musicisti, di fatto, le sarte non vanno mai in pensione. Non si impigriscono perché sono appassionate e il tempo su di loro sembra quasi trascorrere meno impietoso.
Io ho imparato a cucire da Zia Rosa, che ancora oggi cuce e non sembra intenzionata a smettere. Ho appreso guardandola scucire, e proprio lei è stata la prima a spingermi a frequentare una scuola in modo da acquisire un metodo e la tecnica, cioè ciò che lei non aveva avuto.
Da Rosa ho imparato a scalare montagne di pazienza, lei stessa ne riservava moltissima anche a me. Quando sento di perdere questa virtù, ripenso alla sua calma, faccio una pausa e mi ricentro.
Poi l’accademia e la fatica di trovarsi
A me piaceva far andare le mani più che studiare; già dalle elementari iniziò l’avversione per la matematica e le materie scientifiche, come nel più classico dei cliché.
In quegli anni costruiamo la nostra identità attingendo da ciò che gli altri pensano di noi: se tu dici che sono così, allora, sono così, lo divento, mi adeguo alla tua immagine. Così tu avrai ragione, e io avrò un’identità.
Ma questa è solo una proiezione dell’identità, non è la mia identità.
Cresciuta, ho scelto di frequentare l’Accademia di belle Arti ma non avevo la benché minima idea di cosa mi aspettasse.
I primi anni sono stati duri, il test d’ingresso una sciabolata all’autostima.
Una delle domande del test riguardava l’arte performativa contemporanea. Anna, la mia professoressa di storia dell’arte alle superiori, era stata illuminante ma nel suo programma di studio si era fermata all’arte moderna. Il concetto di “contemporaneità” per me era sconosciuto.
Bergamo era una bella città e l’Accademia una perla incastonata tra la bassa e la città alta, in salita, potevo immaginarlo.
Era come trovarsi nel paese delle meraviglie in cui, però, avverti sempre la sensazione di precipitare e di essere fuori luogo, fuori tempo.
Ed io, effettivamente, lo ero. Non sapevo niente di quel campo, di quell’ambiente. Non sapevo muovermi né esprimermi.
Ma scansata l’idea, incontemplabile, di aver sbagliato strada, accettai il mio disagio e piano piano lo trasformai.
Sono stati anni incredibilmente faticosi ma di grande ispirazione. Una fase della vita che sembrava non finire mai, un eterno, ma ricchissimo, loop.
Non ho mai ritirato il mio Diploma di Laurea.
Infine, provare, ritrovarsi, riconoscersi
Poi, tutto si è sbloccato e il tempo ha cominciato a correre. Le domande hanno iniziato ad incalzare:
- chi sono?
- cosa voglio essere?
- qual è il mio posto nel mondo?
Domande importanti, a volte insidiose e, a tratti, fastidiose. Che difficile scegliere! Decidere che fare della mia vita mi sembrava un percorso di rinunce; una selezione forzata tra “le varie me”, un continuo compromesso.
Desideravo lavorare, essere indipendente e realizzare qualcosa di concreto. Ma volevo anche essere libera di esprimermi e lasciare spazio al mio bisogno creativo.
Ho cercato e scavato dentro di me e ho capito che lì, proprio in me, c’era tutto il necessario per mettere insieme i tasselli della mia identità: nelle mie mani ritrovavo le mie radici, l’arte del fare; con le mani potevo cucire, realizzare, aggiustare, ridare vita.
- Nella mia testa c’erano le conoscenze, la tecnica e il metodo, cioè gli aspetti indispensabili per concretizzare un’idea.
- Nel mio cuore, invece, risiedeva l’amore per la bellezza e il fuoco della creatività.
Così, ho iniziato a scorgere il mio mosaico, il caleidoscopio coloratissimo della mia identità.
Oggi mi riconosco, mi ritrovo nel mio racconto e in ciò che faccio: non sono una sarta e non sono “solo” una stilista.
Sono Simona Barboni, stilista, creativa e artigiana di moda responsabile.
Ti do il benvenuto in questo primo capitolo della mia storia, del racconto della mia evoluzione.
E tu, hai un’evoluzione da raccontare?
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